Fare un’anima

di e con GIACOMO PORETTI

18

Luglio
DI E CON
Giacomo Poretti
IN COLLABORAZIONE CON
Luca Doninelli
MUSICHE ORIGINALI
Ferdinando Baroffio
SCENE
Ilaria Ariemme
REGIA
Andrea Chiodi
PRODUZIONE
Teatro de Gli Incamminati/deSidera

Questo monologo, scritto e interpretato  da Giacomo Poretti, raccoglie divagazioni e provocazioni su un organo che i  moderni manuali di anatomia non contemplano ma di cui da  millenni gli uomini di  ogni latitudine hanno parlato:  quando si sviluppa l’anima in un essere  vivente? Esiste realmente o è solo una chimera, un desiderio? Oppure è così  infinitesimale che non la si vede nemmeno con il più grande  scompositore di  particelle? E alla fine, anche se la scovassimo, l’anima a che serve? Cosa ce  ne facciamo? O meglio, cosa vorrebbe farne lei di noi?

“Il progetto di questo monologo – spiega  Giacomo – mi frulla in testa da quando è nato mio figlio Emanuele. In  quell’occasione venne a trovarci in ospedale un anziano sacerdote che  mia  moglie ed io conoscevamo bene. Si complimentò con noi e ci disse: bene, avete  fatto un corpo, ora dovete fare l’anima. Questa frase mi è rimasta dentro per  molto tempo, si è  sedimentata finchè non mi sono deciso ad affrontare la  questione, un compito certo non facile.

Per affrontarla ho usato il linguaggio  dell’umorismo e dell’ironia e mi sono posto un sacco di domande.  Come nasce  l’anima? Spunta coi dentini da latte? O dopo? Quanto incide una corretta alimentazione  a  farla crescere? E, nel caso, sarebbe meglio una dieta iperproteica o senza  glutine, oppure povera di sodio? Ma l’anima esiste davvero o è una nostra  invenzione? E ancora:  è una parola da mandare in pensione  o i tempi  complicati che stiamo attraversando la rendono più che mai ineludibile?  Fermo restando che ognuno può declinarla dandole il significato che meglio crede:  impegno, senso morale, militanza civile o  altro.

Anima  è una parola che rischia l’estinzione, a  fianco dei vocaboli moderni, più chiassosi e sguaiati. E’ una parola strana,  misteriosa e sconosciuta, ma dal suono gentile e impalpabile, leggera come un  soffio, costretta alla solitudine, un po’ come i bambini che non sanno giocare  a calcio e per questo sono destinati a restare seduti sul bordo del campo a  vedere gli altri rincorrersi e divertirsi”.

“E poi – prosegue Giacomo – a  pensarci bene a cosa serve un’anima? Nessuno ti chiede di esibirla: quando ti  fermano i carabinieri si accontentano di patente e libretto, se fai acquisti  su  internet bastano carta di credito e mail. L’anima sembra la cosa più  antimoderna che possa esistere, più antica del treno a vapore, più vecchia del  televisore a tubo catodico, più  demodè delle pattine da mettere in un salotto  con la cera al pavimento; lontana come una foto in bianco e nero, bizzarra come  un ventaglio, eccentrica come uno smoking e inutile  come un papillon.

A un certo punto rischia di farti  tenerezza quella parola lì.

Forse una parola per stare in vita deve  essere frequentata, deve essere scritta, deve essere detta; le parole sono come  le persone hanno bisogno di cure, di qualcuno che le vada a  trovare, le parole  devono stare in compagnia, se non si parlano le parole vengono dimenticate e  scompaiono.

Certe parole rischiano di finire la loro  esistenza sui dizionari, che talvolta sembrano i cimiteri delle parole”.

Lo spettacolo prende l’avvio da un  inciampo, da una scivolata, da una parola inattesa che si mette in casa propria  come uno straniero inaspettato e indesiderato.

Le parole sanno essere più minacciose  degli uomini e con la sua caparbietà  quella parola, anima, costringe ad  occuparsi di tutte le parole della modernità . Anima è una parolina  esangue,  malvestita e malnutrita, eppure è gelosa e innamorata: innamorata di noi e  della vita, e come ogni amante ci vuole solo per sè.

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