Vuoto di memoria

di Tiziano Ferrari e Livio Remuzzi

03

Novembre
di e con
Tiziano Ferrari
Livio Remuzzi
regia
Tiziano Ferrari
Livio Remuzzi
produzione
Teatro de Gli Incamminati

Una scena vuota. Due attori. Tre storie diverse, ma forse no. Tre storie che poggiano le fondamenta nel periodo di ascesa del nazifascismo, legate da un filo nascosto che unisce le vicende dei protagonisti, in cui il discrimine tra verità e finzione è molto sottile. Il filo della manipolazione, parola dai significati cangianti, a seconda del contesto nel quale viene utilizzata. Il fine ultimo è quello di portare una tragedia incomprensibile come il nazismo a una dimensione a-temporale per poter riflettere sulla necessità di non dimenticare, di ricordare ogni giorno alla nostra coscienza il bisogno irrinunciabile di combattere con decisione ogni deriva estremista, senza mai lasciare spazio all’indifferenza.

“Odio gli indifferenti” scriveva Antonio Gramsci, ed era il 1917.

«Il fine ultimo di “Vuoto di memoria” – sono le parole di Tiziano Ferrari e Livio Remuzzi, che oltre ad essere gli attori in scena firmano anche la regia – è quello di portare una tragedia incomprensibile come il nazismo a una dimensione a-temporale per poter riflettere sulla necessità di non dimenticare, di ricordare ogni giorno alla nostra coscienza il bisogno irrinunciabile di combattere con decisione ogni deriva estremista, senza mai lasciare spazio all’indifferenza».

Lo spettacolo si articola in tre parti, corrispondenti ad altrettante storie legate dal tema della manipolazione.

Manipolazione come alterazione genetica, attraverso la storia di Anni-Frid, una bambina bellissima, nata al termine dell’occupazione nazista in Norvegia, che perde suo padre, poi lo ritrova, poi lo perde di nuovo, un continuo rincorrersi che trova il proprio finale solo nel passato recentissimo.

Manipolazione della coscienza individuale e collettiva attraverso la storia di Martin, tedesco, e Max, ebreo americano, da sempre amici fraterni. Siamo nel 1932 e niente sembra essere in grado di separarli, eccetto un uomo: Adolf Hitler. Una storia ispirata al film americano in bianco e nero del 1944 “Address Unknown” (tratto dall’omonimo romanzo di Katherine Kressmann Taylor pubblicato nel 1939) diretto da William Cameron Menzies. Una storia che parla di amicizia e di amore, di odio e di vendetta, ma soprattutto una storia che meglio di ogni altra è in grado di spiegare la “manipolazione delle coscienze” che ha permesso l’ascesa del più grande regime dittatoriale della storia.

Manipolazione della verità, attraverso la storia di Giona. Una storia spaventosamente moderna, chiude la ricerca sulla più attuale accezione del termine manipolazione: come rielaborazione tendenziosa della verità attraverso una presentazione alterata delle notizie, al fine di manovrare secondo interessi specifici gli orientamenti politici o morali della popolazione. È il racconto di un’umanità che sembra appartenere ad un tempo ormai passato e invece ritorna, ritorna sempre.

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